venerdì 16 aprile 2010

news-letter_2_'10

Da qualche giorno i consultori familiari, nella nostra Provincia, sono al centro dell'attenzione delle Pubbliche Amministrazioni e dei mass-media, per via di una delibera regionale (la n. 735 del 15-3-'10) che rivoluziona la geografia di essi e anche di alcune modalità di organizzazione, quale ad esempio il fatto che lo psicologo che fino ad ora disponeva di n. 38 ore settimanali per ogni sede consultoriale, dovrebbe passare ad averne solo 19 per ogni sede, con conseguenti ripercussioni sulle attività da svolgere che non potrebbero più essere quelle di prima.

Verremo a sapere probabilmente che in riferimento alla geografia, la mossa strategica della Regione è di creare un sommovimento di opinione e di interesse sul fatto che le attuali sedi dei consultori sono per la maggior parte del tutto inadeguate. Per quel che riguarda il nostro Distretto: Casarano ha la sua sede in un appartamento al secondo piano di un palazzo di via Padova, senza ascensore e con scala ripida e non sufficientemente illuminata; Parabita è privo di ambulatorio ginecologico, pertanto le donne per visite e screening del pap test devono recarsi a Collepasso; Taurisano è in attesa di una nuova sede che comunque non sarà molto spaziosa, mancando perfino di una sala di attesa. Ruffano e Collepasso sono sedi di punti di accoglienza, ed hanno le strutture adeguate per quel che occorre. La sede di Matino non compare del tutto nella delibera citata. Staremo a vedere che succederà, ma intanto per quel che si può, si cerca di favorire perlomeno delle utili informazioni in merito, qui reperibili

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Specificatamente alle tematiche consultoriali preme far presente:
- la partecipazione agli screening è ancora relativamente scarsa; siamo mediamente al 25% per i pap test e al 35 % per il senologico. E' vero che è ancora da poco che questi sono stati avviati e che non sono stati probabilmente ancora integrati nella nostra cultura, ma per farlo occorre estendere la proposta, farla conoscere, far presenti le grandi opportunità di carattere preventivo che essi hanno.
- Nel nostro Distretto, ogni anno, circa 300 donne ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza (I.V.G.). Una essenziale conoscenza delle tecniche contraccettive potrebbe favorire delle scelte procreative responsabili e quindi una ulteriore diminizione delle I.V.G..
Possibili correlazioni con le seguenti pagine web:
informazione contraccettiva


documentazione sul fenomeno IVG

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Sarebbe bello rendere più frequenti queste corrispondenze, mi scuso per non riuscire a farlo più spesso; ma anche l'apporto di contributi e proposte di chi riceve potrebbe favorire una sollecitazione a incrementare gli inoltri di queste. Il principio cardine da cui questa iniziativa prende le mosse è che a fronte di molteplici difficoltà e probelmi connessi con l'organizzazione della vita, oggi, quel che appare più urgente è il creare connettività sociale, a fronte del fatto che i tradizionali legami che connaturavano un tempo l'insieme sociale, oggi appaiono purtroppo scarsamente valorizzati o si rivelano comunque del tutto insufficienti.

Sarebbe bello che i vari siti delle Amministrazioni Locali dei nostri Comuni ed anche quelli che hanno valenza sociale nel territorio, in ciascun Comune, aprano degli spazi informativi su questi temi. Chi realizza ciò è invitato a darne notizia a questa redazione; così come anche chi desidera consulenza in merito ai messaggi da veicolare può farlo. Il contatto iniziale si può prendere lasciando un messaggio alla segreteria telefonica: 0833--51 90 99

A seguire aluni temi e segnalazioni connessi alla specifità di questa corrispondenza:
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Genitori colpevoli, catarsi collettiva di Luigi D'Elia - Psicologo
Sul Corriere della Sera del 4 Febbraio 2010 compare il seguente articolo: "Ragazzini violentatori. Condannati i genitori". I giudici affermano: "è mancata l’educazione ai sentimenti". Il Tribunale civile impone un risarcimento di 450 mila euro a danno dei genitori dei minori violentatori di una dodicenne. Leggendo questo articolo, ci addentriamo, nelle motivazioni sottese alla decisione del giudice (prosegui la lettura)


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ringrazio vivamente il mio Collega Adriano Alloisio per l'autorizzazione a pubblicare questo suo interessante intervento:

su playstations e affini

So di non dire nulla di nuovo, e prendete questa mia come uno sfogo dopo un'ennesima sollecitazione da sedute con giovani mamme ignare.

L'uso ripetitivo di playstations e affini da parte di bambini e adolescenti fa rimpiangere le ore trascorse davanti ai cartoons. Infatti non si tratta soltanto di indurre passività e dipendenze, ma di cortocircuitare l'emozione e l'immagine mediante un'azione in prima persona, possibilmente rapida, fulminante, che cancella ogni possibilità di distanza e filtri riflessivi, saldando una realtà virtuale con l'Io.
Non ci sono più le caratteristiche del 'gioco'. Amiche psicomotriciste mi raccontano come l'ipercinesi si manifesti - e venga amplificata - con l'identificazione gestuale e vocale con mostri ed eroi (o bulli), non più imitati ma rivissuti in prima persona attraverso la trascorsa azione così realistica, tale da imprimersi come un marchio a fuoco, che invade poi la relazione con il mondo.
L'ipercinesi sembra impastarsi allora con manifestazioni di tipo psicotico.
Perchè un conto è identificarsi con un modello per via imitativa, altra cosa è 'essere' quel modello grazie alla combinata azione-emozione.
Prendiamo i videogames a prevalente contenuto violento: non è solo che essi insegnino la gratuità di una violenza priva di resipiscenze, come di solito vengono commentati. Ma modificano la relazione dell'Io con l'esperienza che esso ha di sè: il personaggio giocato in prima persona sullo schermo non è un'avatar', ma un'incarnazione dell'Io, semplificato in una gamma elementare di emozioni e di gesti, gamma che tornerà indietro a costituire l'identità del bambino (e non un suo sogno, o una sua possibilità), cancellando il solco tra il reale e l'immaginato. Solco che una volta veniva definito dall'uso dell'imperfetto nell'autoracconto che accompagnava il gioco: "io ero un pirata, tu eri la principessa..." Qui non c'è racconto possibile.

In genere i padri colludono entusiasticamente con questo passatempo che li porta 'a fianco' dei figli. E anche se i genitori fanno rispettare qualche regola relativamente al tempo impegnato in queste attività, i bambini trovano nelle case degli amichetti quello che in casa propria verrebbe un po' più controllato.
La mia impressione è di una marea senza possibilità di argine, e dalle conseguenze incontrollabili. A meno (mah) che non si diffonda un'informazione capillare, e che i genitori, opportunamente educati, non facciano rete, creando un contesto appropriato.

Adriano Alloisio
psicoterapeuta analista
adalloisio@libero.it

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segnalo :

Condivisione dell’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali, i percorsi educativi spesso limitano le potenzialità individuali e le possibilità di incontro fra le persone.


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Sito dedicato a tematiche
sociali e sanitarie - servizi - terzo settore - informazioni e documentazioni

In questa pagina dello stesso sito una serie di articoli tratti da Prospettive Sociali e Sanitarie
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Appello per la "Musica" nei Licei
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venerdì 19 febbraio 2010

news-letter_1-'10

Sabato 20 febbraio 2010 presso l'auditorium del Museo Provinciale di Lecce, ore 18:00, PRESENTAZIONE del film DOCUMENTARIO "HANNA E VIOLKA" di Rossella Piccinno, e dibattito sulla migrazione di genere, all'interno del progetto "Le 100 voci della mia provincia".
Hanna Korszla è una delle 1.700.000 badanti presenti in Italia, vive in Salento da tre anni insieme a Gina e Antonio, un anziano ultraottantenne malato di Alzheimer ...
GUARDA IL TRAILER QUI:

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19-2-'10, Sede Comunale Casarano - la Conferenza dei Servizi ha approvato
Il Piano Sociale di Zona 2010-'12 dell'Ambito di Casarano

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10.000 brochure informative sulle attività progettuali dei CONSULTORI FAMILIARI DEL DSS DI CASARANO sono in distribuzione da qualche giorno, presso sedi istituzionali, dei servizi e studi medici nel territorio. La si può anche scaricare dal sito della ASL Lecce


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Milano: Ragazzini violentatori, puniti i genitori - Pagheranno 450 mila euro. I giudici: «Non hanno educato i figli ai sentimenti».
http://www.corriere.it/cronache/10_febbraio_04/ferrarella_milano_tribunale_2afaccb8-1154-11df-806e-00144f02aabe.shtml


interessante anche il dibattito del forum che fa seguito all'articolo

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Rassegna stampa in merito al dibattito suscitato dalla fiction televisiva su Franco Basaglia, "C'era una volta la città dei matti"
http://www.mymovies.it/film/2010/ceraunavoltalacittadeimatti/rassegnastampa/




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"Essere genitori oggi", sull'esperinza di gruppi di genitori a Parma - Libro on-line scaricabile dal link:
http://www.ausl.pr.it/allegato.asp?ID=642876



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Sono segnalate talune difficoltà a contattare la segreteria dello screening mammografico della ASL Lecce
Il problema, è stato riferito dal competente ufficio, verrà risolto entro il mese di marzo, mediante un potenziamento della struttura tecnica della segreteria che permetterà di smistare le telefonate fra richieste informative e prenotazioni.

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venerdì 20 novembre 2009

20 Novembre 1989-2009
Vent'anni della Convenzione per i Diritti dell’Infanzia e Adolescenza

La Stampa, giovedì 19 nov. ’09
1a pagina, rinquadro a destra: "Coppola: Questa Italia divora i suoi figli.” Parla il grande regista: i padri vogliono tutto e così i giovani sono costretti ad andarsene”. Nell’intervista a pag. 22 il dettaglio: “Amo l’Italia ma mi rende triste. Perché è un paese in cui i padri divorano i figli, si prendono tutto senza lasciare nulla e i giovani devono andarsene per avere un’opportunità. (…) Per avere un futuro ci vogliono buoni genitori alle spalle. I padri italiani invece sono come quelli dei miei film, vogliono tutto per se stessi, i soldi, le ragazze, il centro dell’attenzione(…).”

1a pagina, rubrica Buongiorno di Massimo Gramellini: << …Avendo ucciso il futuro la società dell’emergenza non sa più programmare armonicamente il proprio sviluppo e prende le sue decisioni sulla spinta delle necessità immediate. Sfrutta i giovani per tutelare gli anziani che li mantengono, cristallizzandoli in un’eterna e insana adolescenza (…) >> .

C’è da riflettere, e c’è da cambiare, c’è da sapere ma c’è da temere; qualcosa non quadra: i servizi servono, o non servono? Ma i servizi possono continuare a rammendare una società che continua a lacerarsi? Si lacera da sola o qualche meccanismo perverso induce lacerazioni? Sulla stessa pagina, lo stesso giorno, due analoghe riflessioni!, che si siano messi d’accordo? O pur essendo riflessioni ormai scontate come l’acqua un tempo detta calda, ora invece è diventata acqua che scotta e, come conclude Gramellini, "brucia da morire"!?

domenica 25 gennaio 2009

parere a un'insegnante

----- Original Message ----- From: <…@istruzione.it>To: "Luciano Provenzano" <lprovenzano@alice.it>Sent: Sunday, January 25, 2009 4:56 PMSubject: parere da esperto

Le scrivo per chiederle un parere da esperto su argomenti alquanto delicati
Mi ha molto interessata in televisione una rubrica “Ragazzi da salvare”, dove venivano intervistati un maestro elementare, uno psicologo, giovani e adulti sulla realtà, tristemente alla ribalta, di Napoli.
Sono, come lei sa, un’ insegnante di Scuola Primaria ( ho una classe quinta ) e sono d’accordo sul dovere che hanno gli educatori, vivendo in quella realtà, di “fare qualcosa” per “arginare” il problema.
Ma dove non c’è “emergenza educativa”, dove i ragazzi di 10 anni vivono una vita tranquilla, difesi dalla famiglia, da poco usciti da quella “campana di vetro”dove non sono mai entrate le “brutture” della vita, è giusto metterli di fronte alla realtà presentando loro il problema della mafia ?
Perché devono manifestare per ricordare le vittime della mafia ?
Non sarebbe meglio far vivere ai ragazzi la loro età, fatta ancora di giochi, e presentare in un’età più adatta queste tematiche delicate ?
Desidererei una risposta “autorevole”.
E che dire della competizione e della selezione ! Sono proponibili a ragazzi di 10 anni ?
Ringrazio vivamente per la risposta.

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Gent.ma ... , i passi di carattere educativo e formativo con la classe scolastica spettano esclusivamente ai docenti, in linea con gli indirizzi della programmazione ministeriale, del POF - approvato dal Collegio Docenti e dal Consiglio d'Istituto - e delle linee che emergono nel Consiglio di Interclasse (per la scuola primaria). Questa scelta di coinvolgere la classe su una iniziativa "per ricordare le vittime della mafia" è in linea con tali indispensabili passaggi? Lei, come Docente, è stata coinvolta nella scelta di decidere se realizzare o meno l'iniziativa, prima che questa diventi vincolante? se così non è stato, lei si può rifiutare di adottarla. Talvolta, con i migliori intenti di fare del bene su un tema anche importante, si rischia di fare molto male, col metodo dell'imposizione a tutti i costi. Ma in questi casi, per chi ha una responsabilità educativa, occorre imporsi, per non accettare passivamente ciò che qualcuno dall'esterno sta cercando di imporre, certi che la libertà educativa non è un principio astratto, bensì un metodo di relazione che implica dei passaggi graduali nel fornire determinate informazioni su ogni tema educativo. E tale principio di libertà essenziale nella formazione educativa è il cardine essenziale contro ogni forma di mafia.

Circa la "competizione e la selezione" incentivata fin dai primi anni di scuola, penso che sia una forma di aberrazione culturale e pedagogica. Chi più e meglio sa, molto di più ancora può imparare dal rendersi partecipe di un aiuto da fornire a chi meno sa, piuttosto che restare a rivendicare il presunto vantaggio sull'altro. "Il sapere serve solo per darlo", dice don Lorenzo Milani in "Lettera ad una professoressa". E' una visione distorta della mente umana, quella di chiudersi nelle conoscenze e nel sapere che si possiede, e nelle intuizioni che si suscitano in sé. Rendere esplicite le proprie intuizioni ne fa germinare molte altre, offrire ad altri il proprio sapere e le proprie conoscenze è una pratica che rinforza quelle stesse anche in noi. Per cui molto più arricchiente può diventare la pratica di una relazione cooperativistica nella scuola, piuttosto che quella antagonista da riporre definitivamente in cantina.
Saluti cordiali
LP

mercoledì 21 gennaio 2009

a Salvatore Nuzzo

Caro Salvatore, in questi giorni è intercorsa fra noi una corrispondenza in merito al Tuo articolo “Il Consultorio Familiare nel Piano di Salute 2008-2010 della Puglia”, in cui fra l’altro, affermi: <<Altrettanto diretta, chiara ed esplicita risultava la definizione di Consultorio Familiare contenuta nel Piano Sanitario Regionale 2002-2004: un servizio che fornisce «la necessaria collaborazione agli enti locali, alle autorità giudiziarie e agli istituti scolastici per i problemi connessi al maltrattamento, al disagio, all’abbandono, alla devianza dei minori» e realizza «interventi per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del maltrattamento e della violenza sui minori e sulle donne, attraverso l’attuazione di progetti integrati sociali e sanitari che coinvolgano i diversi servizi interessati presenti nella comunità>>

Avevo già consultato il testo, e te ne avevo parlato; sono andato a riguardarmelo allorquando mi hai confermato che si trattava del "capitolo 11.2, Salute Materno Infantile", ma ci si può rendere facilmente conto che le affermazioni che tu inserisci fra virgolette, NON sono affatto precedute da alcun riferimento ai consultori familiari, bensì dalla frase: <Di conseguenza, il D.M. 24.4.2000 " Adozione del progetto-obiettivo materno infantile relativo al Piano sanitario nazionale 1998-2000", allo scopo di salvaguardare la donna, la famiglia ed il bambino nelle sue diverse fasi di crescita e fino alla maggiore età e garantire maggiore uniformità dei livelli essenziali di assistenza, indica i seguenti obiettivi generali, che vengono integralmente assunti nel presente Piano sanitario regionale: (…) la necessaria collaborazione agli enti locali, alle autorità giudiziarie e agli istituti scolastici per i problemi connessi al maltrattamento, al disagio, all’abbandono, alla devianza dei minori (…)>
( Si può consultare il testo:
Piano Sanitario Regionale 2002-’04 )
Ne traggo che non è affatto vero che nel Piano Sanitario ’02-’04 vi sia una “definizione” di “consultorio familiare”, che intenderesti affidare a quelle due affermazioni che riporti!
L’unico e solo punto dell’intero Piano Sanitario 2002-04 in cui vengono nominati i consultori è allorquando, in tale medesimo paragrafo 11.2, si afferma:
<nel triennio di vigenza del Piano sanitario regionale, le azioni che principalmente devono essere portate a termine per perseguire i suindicati obiettivi sono le seguenti: (…)- adeguamento delle sedi consultoriali ai requisiti minimi strutturali ed organizzativi individuati dal DPR 14.1.97, razionalizzandone la distribuzione territoriale secondo i criteri individuati dalla L. n.34/96, favorendo una distribuzione che tenga conto delle caratteristiche geo-morfologiche del territorio e dei collegamenti>
Neanche il paragrafo 8.1 del Piano ’02-’04, allorquando si parla di “Organizzazione del Distretto” e dei relativi “sottolivelli assistenziali:” si include l’Assistenza Consultoriale, che invece, a tale riguardo, era presente nell'art. 26 della legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36, fra i servizi che eroga il Distretto.

"Nel Piano attuale, manca una definizione dei consultori", dici, ma poi, di fatto, vieni ad esplicitare una serie di punti del Piano che chiamano in causa e valorizzano fortemente i consultori. E riporti: <<Il Piano della salute parla del Consultorio Familiare già al punto 1.2 - La salute delle donne: (…) al punto 1.3.1 - L’abuso, il maltrattamento e la violenza sulle donne e minori, ! (…) al punto 1.3.4 - La popolazione immigrata, (…) punto 1.6 - La rete distrettuale, che il Piano parla più diffusamente del Consultorio Familiare, nel paragrafo intitolato “Rete consultoriale”. (…) punto 2.2.6 - L’Educazione alla Salute, (…) il punto 2.2.7.1 Prevenzione delle malattie cronico degenerative e promozione degli stili di vita salubri (…)Si accenna ai Consultori pure al punto 2.4.1 - La rete dei distretti sociosanitari: articolazione della organizzazione distrettuale: (…) Del Consultorio Familiare si parla pure al punto 2.4.8 - Le prestazioni sanitarie per la popolazione immigrata, (…) all’interno della Riorganizzazione dell’Assistenza Territoriale e, in particolare, al punto 3.1.1 La promozione della salute delle donne in tutte le fasi della vita: Progetto di riorganizzazione della rete consultoriale>>

E più avanti fai presente: < alla fine di questo discorso puntato esclusivamente sulla popolazione femminile il Piano sancisce che «i Consultori Familiari, istituiti da Enti privati ed Associazioni ed autorizzati ai sensi dell’art. 5 della Legge Regionale 30 del 5.9.1977, successivamente alla definizione delle procedure di accreditamento, da realizzare nei termini previsti per l’adozione dei Piani Attuativi Locali, costituiscono parte integrante della rete consultoriale regionale»

Eravamo entrambi presenti al convegno di Bari, sui consultori, pochi giorni or sono, allorquando l’Arcivescovo Mons. Francesco Cacucci, ha definito “un’opportunità storica” quanto a riguardo il Piano fornisce ai consultori di ispirazione cristiana, perché ne permette l’accreditamento per entrare nella "rete regionale dei consultori".
Ritengo che non sia affatto generoso e neanche intellettualmente onesto quel tuo articolo, caro Salvatore. Metti anche sotto accusa il fatto che c’è la propensione ad una visione di genere, verso il femminile, nel Piano attuale; ma non mi dire che una visione di genere, più protesa sul versante maschile, non vi sia da parte della Chiesa Cattolica, e vi sono autorevoli voci interne alla stessa Chiesa a farlo presente! La prevalenza di genere che il Piano contiene non inficia il riferimento essenziale del nome del servizio, basato sul termine “familiare” associato a “consultorio”. Quindi, sotto questo profilo, non puoi pensare che possa svilirsi il riferimento essenziale che questo servizio necessariamente pone nei confronti della famiglia, che già il nome include.

Mi capita di riflettere frequentemente sul fatto che la parola “generosità” ha la radice uguale al verbo “generare”. E per degli operatori che lavorano in servizi di aiuto alla vita, come i consultori familiari, ciò dovrebbe costituire un riferimento imprescindibile. Così la generosità per noi dovrebbe diventare anche un dovere professionale. Spero che per questo valuterai l'opportunità di rivedere quei tuoi giudizi sul Piano della Salute 2008-2010 della nostra Regione , che, pur con taluni limiti che imporranno anche alcune revisioni e miglioramenti (lo ammetteva anche l'Assessore Gentile nel corso di quel convegno a Bari), per le indicazioni contenute, può costituire realmente "un'occasione storica" per tutti i consultori di Puglia.
Cordiali saluti
LP

venerdì 9 gennaio 2009

sesso, apertura d'ali o caduta di sasso

Antonio Stornaiolo è un satiro, gli piace scherzare, ma proprio per questo le cose che dice sono anche più vere. Nel suo articolo – giù riportato - dalla Gazzetta - dice in pratica che sta lentamente scomparendo nella nostra società la voglia di sesso. È una constatazione, è un grido d’allarme, è una paura eccessiva?
In tema di consultorio, non si può certo sorvolare su cose del genere: c’è qualcosa di vero, in questo non senso insidioso fra strade e persone, il tarlo dell’indifferenza nei tratti dell’essere oggi. Recuperare il senso dell’esistere, il significato del fare, dell’agire, a cominciare da… siamo tutti bravi a dire: il valore e l’importanza dei rapporti, una sessualità coniugata con l’affettività, la cura dei sentimenti fin da bambini… tutto vero, tutto importante. Ma qualcosa, si avverte, viene meno: la patina dell’esteriorità e della finzione di cui si è pervasi, non regge il confronto con la realtà, e crolli a catena ne sono la conseguenza, compresa la sessualità che rischia anch’essa il non senso al pari di tante altre componenti essenziali della vita: quanto pane non si butta, e quanta superficialità in tanto agire di tanti - e ognuno potrebbe valutare in cuor proprio quanto ciò lo riguardi, ed umilmente ammetterlo in occasione propizia!
Dal grado di consapevolezza interiore scaturisce la capacità di contatto. Ed è un percorso questo, da sviluppare con guida adeguata. Già ammettere che di questo c’è bisogno, è già mettersi sulla buona strada. (LP)
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C’era una volta il sesso
di Antonio Stornaiolo
Gazzetta del Mezzogiorno 4-gen-‘09

Anche il sesso è finito. Prima era il miraggio agognato, l’eldorado spandecato, il meraviglioso punto (g) di arrivo di istinti conturbanti. Nato come una piacevole resistenza alla Fine, quella con la effe maiuscola, ormai anche l’eros s’è ammosciato. Da soli o in compagnia, oggi il sesso è diventato solo uno dei tanti modi per scaricare lo stress e la tensione accumulati. Un mezzo e non uno scopo. Dai pensieri vogliosi dunque, si è passati alle voglie pensierose. Insomma, si prova piacere per non provare dispiacere, si fa l’amore per scaricarsi, che non vuol dire necessariamente ricaricarsi. Venuto meno il fattore edonistico, il sesso va a connotarsi in quel non luogo dell’insoddisfazione cronica. Il “famolo strano” per molti è solo un antidoto alla depréssione. Ed allora dalli addosso con le di- versioni. Col piede nella fossa, con le spalle al muro, con la lingua sbottonata a dire sconcerie, con gli occhi attaccati allo schermo del computer a spiare questo e quella, coll’odore del calzone di cipolla sotto il naso che fa molto folk. Tutti hanno un modo ed una maniera. Chi soffre di solitudine e lo deve fare in gruppo. Chi lo fa col marito della collega e chi invece con la cameriera ad ore. Chi lo fa con l’amante pensando alla moglie e chi con la moglie pensando all’amante. Chi lo fa tra marito e marito. Chi lo fa voltato dall’altra parte e chi chiude gli occhi facendo finta di provare piacere. Chi lo fa dopo il posticipo e chi non aspetta neanche il calcio d’inizio che già s’è tolto il pensiero. Chi lo fa toccando poco e chi lo fa toccando il fondo, magari per soldi. Ormai praticare sesso in maniera ortodossa capita sempre più di rado. E quando accade ci si sente come mosche bianche. Anzi, come conigli. Dicono che la follia del sistema a lungo andare danneggi la testa della gente che perde l’abitudine a pensare. Io credo che siamo già allo stadio successivo: dopo la testa adesso è la volta delle zone basse, si sta puntando ad azzerare anche l’istinto. In quel che resta dei nostri giorni, diventeremo tutti robot senza un filo di ferro addosso. Non c’è più niente da “fare”. Quando si dice Matrix, altro che Mentana.

lunedì 5 gennaio 2009

il parto di cuore

Propongo, talvolta, agli utenti di scrivere su aspetti della loro esperienza in merito al tema/problema che stiamo affrontando nel lavoro consultoriale. Quelle qui riportate sono le narrazioni di due coniugi in merito alla loro scelta di realizzare un "parto di cuore", mediante l'adozione familiare. Li ringrazio vivamente entrambi per il consenso alla pubblicazione, anche se, ovviamente, anche le vocali a sigla dei nomi non corrispondono ai loro nomi reali, ciò a evidentemente tutela della privacy.
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Durante la primavera di quest’anno ….. io e O. abbiamo dovuto affrontare diverse situazioni e prendere delle decisioni importanti per il nostro futuro.
Sono state decisioni che hanno riguardato il nostro lavoro, le nostre amicizie, ma anche e soprattutto la scelta di iniziare tutti gli incartamenti per un’adozione, quindi la scelta di allargare la nostra famiglia.
Ci siamo sposati nel 2003, ma purtroppo non siamo riusciti ad avere un figlio ‘’geneticamente’’ nostro.
Non siamo più due ragazzini, ed è normale, umano avere la voglia di metter su famiglia … vedere un piccolo birbante in casa che ti fa dannare e gioire di ogni suo sguardo, parola, sorriso…………
La nostra casa è vuota … è piena sì …del nostro amore, ma non ci sono giochini ….non abbiamo stampini e figurine attaccati al frigo … nessuna macchinina sotto al divano …tutto è perfettamente in stile MINIMAL ……… come la casa di due adulti ..SOLI.
La nostra vita è piena di amicizia, cinema, teatro …….viaggetti, serate fuori in pizzeria … siamo liberi di tornare tardi, di star fuori per giorni, di girare in moto per tutto il pomeriggio … tutte cose che i nostri amici, con figli, ci invidiano …ma quanto sarebbe facile buttare tutta questa libertà ….. per … il sorriso beato di un pargoletto!!!!!!
Ho varie amiche che avevano passato il mio stesso ‘’piccolo calvario ‘’ hanno poi deciso per l’adozione e ora hanno un figlio o due.
Mi hanno parlato di ‘’un parto di cuore’’ e hanno tutte delle esperienze bellissime da raccontare, difficili……diverse……..ma esperienze di amore incondizionato.
Nel cammino per le pratiche di adozione ..ci sono anche gli incontri con lo psicologo.
Devo ammettere che andare da un estraneo e raccontare di me, di noi … mi spaventava molto, anche se per natura sono una persona che non ha difficoltà ad aprirsi con gli altri…la figura di un professionista che sa leggerti dentro e vedere in ogni sguardo, posizione sulla poltrona, gesto …..dei significati mi spaventava.
Io ed O. ci siamo aperti e abbiamo tirato fuori un po’ di noi …perché l’obiettivo è quello di agevolare il suo lavoro ….. che è conoscerci… senza pensare al giudizio che ne potrà scaturire … perché un po’ ci si sente scrutati, ma ….in fine dei conti i giudici, gli assistenti sociali, gli psicologi che incontreremo in questo iter devono pur capire chi hanno di fronte ….. devono poter capire a chi affidano i bambini …devono poterli proteggere.
Negli incontri è venuto fuori anche qualche zona d’ombra… la morte della mia mamma, i miei ripetuti aborti ….ma dopo un pianto di sfogo [che spesso mi aiuta a rimettere in ordine i pensieri] ho capito che questa mia vita ha avuto degli ostacoli …difficili, ma esistono soluzioni e scelte che ti aiutano ad andare avanti.
O. ed io ……. lui è la mia vita……i miei progetti e la mia giornata sono dedicati a lui …. e spesso quando affronto un problema tendo la mano e so che lui c’e’ ….mi è vicino…e mi fa capire che a volte esagero e posso vivere più tranquillamente.
Non so se saremo dei bravi genitori …ma sappiamo che ci impegneremo molto.
A volte lo immagino questo piccolo ‘’parto di cuore’’ e vorrei sapere se è già nato….come si chiama ….e credo di volergli già bene. A.

Quando con A. abbiamo deciso di sposarci avevamo tanti sogni nel cassetto, una casa nostra, da arredare come ci piaceva per renderla accogliente e che rispecchiasse la nostra personalità.
Fare viaggi per visitare assieme posti che fino a quel momento non conoscevamo.
Invitare amici sia per i viaggi che per delle cene, condividere con loro le cose belle e brutte che la vita riserva un po’ a tutti.
Molte cose le abbiamo realizzate, tipo la casa, i viaggi e la condivisione dei bei momenti e dei periodi meno belli della vita.
Ma un sogno non ci è stato ancora concesso… un figlio… un figlio da vedere crescere e formarsi sia come persona fisica che caratterialmente… affrontare con lui o lei gli ostacoli quotidiani. Tornare a casa e gioire di un sorriso o di uno sguardo, sapere di essere un punto fermo per quel cucciolo d’uomo che cresce.
Cosi dopo diverse ‘’disavventure’’ abbiamo deciso di procedere con un’adozione.. avere un figlio con un parto di cuore.
Di questa esperienza posso dire che ci ha insegnato molto, pensare che quello che è naturale come concepire e veder nascere un figlio a volte diventa motivo di dolore quando per un motivo non viene o peggio lo si perde ………
Si soffre all’inizio, poi come ogni dolore con il tempo si accetta e si guarda oltre, si intraprendono nuove strade, si affrontano nuove situazioni, si conoscono nuove persone……
Una nuova persona la vorremmo accogliere in famiglia, farla parte integrante e indissolubile della famiglia stessa.
Penso che un figlio sia un dono.. sia che venga da un atto d’amore sia che venga da un gesto d’amore. O.

domenica 4 gennaio 2009

Mio figlio in casa famiglia


Questo libro di Stefano Portaccio ci riguarda molto da vicino: vi è tratteggiata la storia della Oberon, una Casa Famiglia di Taviano, quindi nella nostra Provincia; chi uno o più d’uno, molti Servizi territoriali e consultoriali ha, o ha avuto dei bambini o ragazzi in questa Casa. Per tanti, l’autore è di conoscenza ed amicizia personale.
Per i Servizi territoriali, per taluni casi di estremo bisogno e necessità, dopo aver sbrigato ogni iter necessario col TM – Tribunale per i Minorenni -, il reperimento di una Struttura d’accoglienza idonea per ospitare un bambino o un ragazzo privo di un riferimento familiare sul quale contare, rappresenta quella che si sol chiamare ‘la soluzione’. Non sempre ci si rende conto del tutto che quella ‘soluzione’ è solo la porta che apre ad un nuovo mondo, nuovi rapporti, nuove difficoltà.
È un libro alquanto coraggioso questo di Stefano, giacché egli sceglie di mettere a nudo la complessità del mondo dei rapporti che si determinano in una Casa Famiglia. Il sapiente psicologo potrebbe, leggendolo, rimproverargli di non curare abbastanza quel distacco professionale con ‘l’utente’, a garanzia di una maggiore oggettivazione del rapporto. È come quando nel corso di una partita di calcio, ogni spettatore avrebbe potuto fare meglio del protagonista con la palla fra i piedi in campo. Questo non significa che non sia, o sarebbe utile ricercare sempre migliori adeguamenti di azione nel proprio fare, con possibili migliori rese.
Per un certo residuale perbenismo, il mettersi a nudo implicherebbe la precondizione della linearità delle forme. Stefano sceglie di mettere a nudo invece, nel proprio modo di essere e di fare rapporto educativo, anche gli aspetti di difficoltà, con talune eccedenze o insufficienze. Grazie Stefano, di questo tuo lavoro col quale ci rendi partecipi di un mondo che in pochi, di solito, lo si conosce, e anche fra questi, per lo più attraverso il soggiorno o qualche giardino intorno. Tu ci fai entrare invece nel vivo del tuo cuore di padre adottivo.
Grazie all'Editore Cosimo Lupo lupo@lupoeditore.it e all'Autore per il consenso alla pubblicazione del brano - a seguire - della post-fazione al libro. (LP)
UN LIBRO A CUI MANCA L’ULTIMA PAGINA
di Luigi Scorrano

(...)
I protagonisti di questo libro sono due: un ragazzo in difficoltà e un educatore tenace. La loro vicenda è come isolata nella sua esemplarità, ma essa si capisce e si giustifica nel panorama composito che sommuove la scena. Acquistano forte rilievo, perciò, non un pugno di comparse, gli altri, ma un piccolo esercito di comprimari ciascuno dei quali, nel ruolo dello sfortunato o in quello del soccorritore, richiede che la sua storia sia raccontata per comunicare al mondo una di quelle piccole verità che il mondo distratto ignora: che il mondo è salvato se ognuno fa onestamente la sua parte, se ognuno si sforza di cooperare a salvarlo. I ragazzi che da situazioni diverse, ma tutte tristi, arrivano in casa-famiglia sono coloro che uno scrittore francese, Gilbert Cesbron, in un suo romanzo del 1954 indicò come Cani perduti senza collare. Sono esseri che la risacca della vita facilmente travolge e getta sulle desolate spiagge del disadattamento, della delinquenza, della resa ad una sorta di fatalità del male.

Da un deserto privo d’amore, dalle malinconiche distese dell’affettività negata cui li confina la cecità adulta, quegli esseri che vogliono “essere” e nel loro “essere” sono ostacolati, mandano un grido d’aiuto, una voce di pena che vuol essere ascoltata. L’aiuto può giungere, ma non solo dalla spesso gelida struttura burocratica. Può giungere da cuori disposti a spendersi per alleviare qualche sofferenza, per lenire qualche dolore, per far rifiorire qualche speranza sullo stelo di una vita in via di disseccarsi. Per questo c’è bisogno di una fede forte: che può essere profonda convinzione religiosa per alcuni, o semplice fiducia nelle umane possibilità di incontro per altri. Le storie che questo libro narra attingono all’una e all’altra fede in vista di un risultato unico: ridare qualche possibilità a chi sembra aver perduto tutte le occasioni.

È un libro, questo, al quale manca l’ultima pagina. Tutte le storie che narra, anche quella che campeggia con la sua esemplarità, sembrano concluse. Ma di singolare c’è questo: il libro ci lascia immaginare che, mentre noi stiamo ripercorrendo le vicende dei ragazzi qui narrate, altri incontri si preparano, altri fili annoda il destino, altri cammini traccia che conducono al luogo ch’è stato già teatro di tante sofferte e felici esperienze. Lo scrittore che abbiamo ricordato, Gilbert Cesbron, alla fine dei suoi libri salutava i suoi personaggi, si distaccava da loro mandandoli per il mondo con il suo messaggio di fede e di sentimento. Li salutava così: “Addio, dunque, creature del mio cuore”.

Anche i ragazzi le cui storie sono narrate in questo libro sono creature del cuore di chi li ha accolti ed aiutati a tornare ad una vita fitta di difficoltà ma anche di progetti, di pienezza umana. Proprio per questo, però, qui non c’è un addio; il filo annodato resta teso, quell’alveare di ri-formazione che è la casa-famiglia vede le sue api industriose ronzare laboriosamente e produrre uno straordinario miele di umanità. Altre pagine si potranno scrivere, la vicenda rimane aperta. E già l’orecchio attento di Stefano, di Luigi, dei ragazzi, di tutti coloro che la casa ospita si tende ansioso ad un possibile suono del campanello. C’è una nuova sofferenza da alleviare, un nuovo cuore da accarezzare con una goccia di dolcezza.
S’avvia un passo, si apre la porta.
Il lavoro continua.

venerdì 2 gennaio 2009

Il pianeta infanzia, oggi

Stralci dall'intervista di Marina Corradi al professor Giovanni Bollea
pubblicata su Avvenire, Roma, 06 gennaio 2004


I primi bambini che ha curato, oggi hanno più di sessant'anni. Li incontra a volte, per le vie di Roma, uomini coi capelli grigi che lo fermano: professore, si ricorda di me? Sono gli ex bambini del '47, quelli che salutano Giovanni Bollea neuropsichiatra e innovatore della neuropsichiatria infantile italiana del dopoguerra . Sono i ragazzini che arrivavano in via Angelo Ema a Roma, al primo centro medico psicopedagogico aperto nella città ancora devastata: gli orfani, i traumatizzati dalle bombe, i piccoli sbandati che vivevano di furti e mercato nero.
«Professore, si ricorda?» Troppo difficile ritrovare in quelle facce i ragazzini di cinquant'anni fa. Ma il professore ha ben viva invece la memoria di quei mesi: lui giovane psichiatra reduce - oltre che dal fronte russo - da Losanna, dove aveva studiato proprio gli effetti della guerra sui bambini, un progetto pilota in quell'Europa fumante di rovine. E Roma disfatta, e quei bambini.
«Ma lei - racconta con la sua voce pacata nello studio sulla Salaria - non può immaginare il desiderio di ricominciare, di ricostruire che c'era in quei giorni. E come la questione sociale, la famiglia, l'educazione dei bambini in questo contesto fossero per me e per altri una straordinaria sfida a fare». Roma a brandelli, i bambini, e la voglia di rinascere.
Sotto al camice bianco, un piemontese - Cigliano Vercellese, classe 1913, figlio di famiglia modesta. Uno che s'alzava alle cinque del mattino per lavorare come pastaio, prima d'andare a scuola. («I ragazzi, fateli lavorare, in casa. Abituateli a stirare, a saper cucire un bottone. E' importante, altrimenti diventano degli egoisti spaventosi»).
Orfano, e allievo interno all'ospedale Mauriziano, si laurea in medicina. E' il 1938. Il matrimonio, di nascosto in una sacrestia torinese, con una ragazza ebrea. La guerra. Il fronte sloveno e poi russo, infine Roma.
(...)
«Ancora oggi, se non vedo ogni giorno un bambino, se non gli parlo assieme, mi manca qualcosa. Un bambino che sorrida, oppure un adolescente- gli adolescenti fanno tremare. Gli adolescenti, anche quelli più sereni , sono sempre problematici, lo sono fisiologicamente. In loro poi la depressione assume forme molto sottili, subdole, difficili da riconoscere. Quando sono piccoli, tutto è più semplice. Io ho un rapporto bellissimo con i bambini. Mi telefonano, mi raccontano come va la cura. Perché io prescrivo delle cure un po' fuori dal normale. Per esempio, sulla ricetta scrivo: dieci chilometri in bicicletta assieme al padre ogni domenica. Il tempo col padre è una cosa fondamentale. Se il padre non lo sa, io glielo prescrivo. Oppure, in molti casi, prescrivo un fratello. E' difficile crescere da figli unici. Per molti ragazzini la presenza di un secondogenito è la terapia migliore. Perciò io scrivo: «Un fratello, entro la fine dell'anno».
Un fronte su cui Bollea è molto impegnato è quello delle conseguenze sui figli della separazione dei genitori. «La separazione ha sui figli effetti devastanti» dice senza mezzi termini. «Molti bambini cominciano ad avere disturbi psicosomatici, ansia, tic, balbuzie, già anni prima che i genitori si dividano. Colgono che il tono del discorrere fra padre e madre è cambiato e cadono preda dell'angoscia. Io dico ai genitori: andate a litigare a cento metri da casa, e ho steso un decalogo di regole perché la separazione, se proprio è inevitabile, sia la meno dannosa possibile. Ma anche i giudici dovrebbero capire che il vero patrimonio da tutelare non sono i beni materiali, in queste cause, ma i figli».
Professore, ma i bambini di oggi sono fondamentalmente gli stessi della Roma del dopoguerra, oppure sono diversi?
«C'è stata una mutazione dell'infanzia. Dalla povertà e dalle restrizioni siamo passati a una patologia dell'abbondanza. L'irruzione della tv ha anticipato le capacità cognitive dei bambini, ma non quelle emotive. Sanno tutto, senza in realtà «sapere niente», ciò che nell'adolescenza può dar luogo a seri problemi. No, è un'infanzia del tutto diversa. Si può addirittura parlare di una sorta di Medioevo dei bambini, di un mondo in cui non sono più protetti né tutelati, ma esposti dai media esattamente allo stesso mondo degli adulti: e la promiscuità fra i due mondi era una caratteristica del Medioevo. Sono bambini, poi, che traggono dai genitori una incertezza, un'angoscia sul futuro, un'insicurezza sul proprio destino».
Come aiutarli?
«Educandoli al «positivo»: cioè vivendo le difficoltà insieme a loro e, sfidandoli, dando loro la sicurezza che riusciranno a farcela. Capiranno, stando accanto. Il mondo è difficile, ma noi ce la faremo, e staremo insieme fin quando sarete in grado di affrontare da soli la vita».
Non è impossibile, sembra dire il vecchio professore, basta non avere paura. Lui, che sposò la fidanzata ebrea pochi giorni dopo le leggi razziali, che fu costretto a nascondere i suoi figli, che si salvò dai bombardamenti di Roma insieme a un grappolo di bambini terrorizzati in ospedale, la paura l'ha fronteggiata. Forse una sola volta pianse disperatamente: a due anni e mezzo, vedendo suo padre partire per il fronte dell'Isonzo. La guerra, l'abbandono: anche quello un segno, o un seme. Novant'anni dopo, un grande albero vitale.