venerdì 2 gennaio 2009

Il pianeta infanzia, oggi

Stralci dall'intervista di Marina Corradi al professor Giovanni Bollea
pubblicata su Avvenire, Roma, 06 gennaio 2004


I primi bambini che ha curato, oggi hanno più di sessant'anni. Li incontra a volte, per le vie di Roma, uomini coi capelli grigi che lo fermano: professore, si ricorda di me? Sono gli ex bambini del '47, quelli che salutano Giovanni Bollea neuropsichiatra e innovatore della neuropsichiatria infantile italiana del dopoguerra . Sono i ragazzini che arrivavano in via Angelo Ema a Roma, al primo centro medico psicopedagogico aperto nella città ancora devastata: gli orfani, i traumatizzati dalle bombe, i piccoli sbandati che vivevano di furti e mercato nero.
«Professore, si ricorda?» Troppo difficile ritrovare in quelle facce i ragazzini di cinquant'anni fa. Ma il professore ha ben viva invece la memoria di quei mesi: lui giovane psichiatra reduce - oltre che dal fronte russo - da Losanna, dove aveva studiato proprio gli effetti della guerra sui bambini, un progetto pilota in quell'Europa fumante di rovine. E Roma disfatta, e quei bambini.
«Ma lei - racconta con la sua voce pacata nello studio sulla Salaria - non può immaginare il desiderio di ricominciare, di ricostruire che c'era in quei giorni. E come la questione sociale, la famiglia, l'educazione dei bambini in questo contesto fossero per me e per altri una straordinaria sfida a fare». Roma a brandelli, i bambini, e la voglia di rinascere.
Sotto al camice bianco, un piemontese - Cigliano Vercellese, classe 1913, figlio di famiglia modesta. Uno che s'alzava alle cinque del mattino per lavorare come pastaio, prima d'andare a scuola. («I ragazzi, fateli lavorare, in casa. Abituateli a stirare, a saper cucire un bottone. E' importante, altrimenti diventano degli egoisti spaventosi»).
Orfano, e allievo interno all'ospedale Mauriziano, si laurea in medicina. E' il 1938. Il matrimonio, di nascosto in una sacrestia torinese, con una ragazza ebrea. La guerra. Il fronte sloveno e poi russo, infine Roma.
(...)
«Ancora oggi, se non vedo ogni giorno un bambino, se non gli parlo assieme, mi manca qualcosa. Un bambino che sorrida, oppure un adolescente- gli adolescenti fanno tremare. Gli adolescenti, anche quelli più sereni , sono sempre problematici, lo sono fisiologicamente. In loro poi la depressione assume forme molto sottili, subdole, difficili da riconoscere. Quando sono piccoli, tutto è più semplice. Io ho un rapporto bellissimo con i bambini. Mi telefonano, mi raccontano come va la cura. Perché io prescrivo delle cure un po' fuori dal normale. Per esempio, sulla ricetta scrivo: dieci chilometri in bicicletta assieme al padre ogni domenica. Il tempo col padre è una cosa fondamentale. Se il padre non lo sa, io glielo prescrivo. Oppure, in molti casi, prescrivo un fratello. E' difficile crescere da figli unici. Per molti ragazzini la presenza di un secondogenito è la terapia migliore. Perciò io scrivo: «Un fratello, entro la fine dell'anno».
Un fronte su cui Bollea è molto impegnato è quello delle conseguenze sui figli della separazione dei genitori. «La separazione ha sui figli effetti devastanti» dice senza mezzi termini. «Molti bambini cominciano ad avere disturbi psicosomatici, ansia, tic, balbuzie, già anni prima che i genitori si dividano. Colgono che il tono del discorrere fra padre e madre è cambiato e cadono preda dell'angoscia. Io dico ai genitori: andate a litigare a cento metri da casa, e ho steso un decalogo di regole perché la separazione, se proprio è inevitabile, sia la meno dannosa possibile. Ma anche i giudici dovrebbero capire che il vero patrimonio da tutelare non sono i beni materiali, in queste cause, ma i figli».
Professore, ma i bambini di oggi sono fondamentalmente gli stessi della Roma del dopoguerra, oppure sono diversi?
«C'è stata una mutazione dell'infanzia. Dalla povertà e dalle restrizioni siamo passati a una patologia dell'abbondanza. L'irruzione della tv ha anticipato le capacità cognitive dei bambini, ma non quelle emotive. Sanno tutto, senza in realtà «sapere niente», ciò che nell'adolescenza può dar luogo a seri problemi. No, è un'infanzia del tutto diversa. Si può addirittura parlare di una sorta di Medioevo dei bambini, di un mondo in cui non sono più protetti né tutelati, ma esposti dai media esattamente allo stesso mondo degli adulti: e la promiscuità fra i due mondi era una caratteristica del Medioevo. Sono bambini, poi, che traggono dai genitori una incertezza, un'angoscia sul futuro, un'insicurezza sul proprio destino».
Come aiutarli?
«Educandoli al «positivo»: cioè vivendo le difficoltà insieme a loro e, sfidandoli, dando loro la sicurezza che riusciranno a farcela. Capiranno, stando accanto. Il mondo è difficile, ma noi ce la faremo, e staremo insieme fin quando sarete in grado di affrontare da soli la vita».
Non è impossibile, sembra dire il vecchio professore, basta non avere paura. Lui, che sposò la fidanzata ebrea pochi giorni dopo le leggi razziali, che fu costretto a nascondere i suoi figli, che si salvò dai bombardamenti di Roma insieme a un grappolo di bambini terrorizzati in ospedale, la paura l'ha fronteggiata. Forse una sola volta pianse disperatamente: a due anni e mezzo, vedendo suo padre partire per il fronte dell'Isonzo. La guerra, l'abbandono: anche quello un segno, o un seme. Novant'anni dopo, un grande albero vitale.

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